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lunedì 09 dicembre 2024

SORRIDENDO — il Blog di Nicola Belcari

Nicola Belcari

Ex prof. di Lettere e di Storia dell’arte, ex bibliotecario; ex giovane, ex sano come un pesce; dilettante di pittura e composizione artistica, giocatore di dama, con la passione per gli scacchi; amante della parola scritta

​Dizionario (quarta puntata)

di Nicola Belcari - lunedì 17 aprile 2023 ore 08:00

Responsabilità

Un virus dilaga come pandemia mondiale, zanzare tropicali invadono l’intero territorio di una nazione, un grave incidente deturpa l’ambiente…
Le persone rischiano spesso di commettere l’errore di non individuare la “doppia” (nel senso di due diversi livelli) responsabilità relativa a rovinosi, e talora vitali, fenomeni; quando addirittura i governanti nemmeno ne cercano una, per viltà o convenienza, e lasciano credere alle popolazioni (che subiscono e tutto sopportano) che si tratti soltanto di sciagure naturali.
Quando si cercano le cause di un disastro per evitarne il ripetersi e quando per un sacrosanto senso di giustizia si cercano eventuali colpevoli, a vario titolo e misura, si sceglie di considerare o una responsabilità “locale”, nel dettaglio dell’evento, oppure le cause generali (del sistema economico-politico). Spiegare con caratteristiche del sistema globale può mancare di punire i rei e ridursi all’impotenza; come, d’altra parte, identificare i colpevoli ultimi e “diretti” non basta: comporta solo provvedimenti individuali senza una sensibilizzazione dell’opinione pubblica in funzione di future scelte politiche.

Catastrofismo
I segni della fine ci sono tutti. Annunciano la fine, se non dell’intera umanità o di un suo drastico “ridimensionamento”, almeno del “nostro” mondo. Dopo la catastrofe, ne sorgerà un altro preparato da un nuovo medioevo, lungo e doloroso per i sopravvissuti. Già oggi il nostro quotidiano tran-tran fa presagire una vita da fossili viventi.
Siccità e inondazioni, tornado e cicloni, l’aurora boreale tinge il cielo d’un fascino spettrale, epidemie sconvolgono l’esistenza, incombe la minaccia nucleare. Di fronte a ciò c’è una parola sola da rivolgere ai governanti degli Stati: “grazie!”.

Anglofilia
Sono veramente tante le parole inglesi introdotte nel parlato e nello scritto. Molte non sono ancora entrate nell’uso comune e appartengono a gerghi specialistici.
In alcuni casi il loro successo è giustificato dalla brevità dei termini, dalla diffusione internazionale, dal referente. In altri casi vi è il dubbio che siano un’ostentazione di (pseudo) cultura, o uno sfoggio di modernità, di essere in linea con la moda; o peggio, che abbiano il senso e la funzione del “latinorum” di Renzo. Quando l’uso non è di quelli da far ridere i polli.
La lingua non la stabilisce una campagna culturale: (si possono imporre delle parole ma non cancellarle) il popolo decide (almeno a metà) la sua trasformazione. In un mondo, l’attuale, in cui regna la confusione, una Babele che ostacola e quasi impedisce la comunicazione, finisce per essere curiosa una battaglia da strapaese (o purista da imparruccati “accademici della crusca”, pronti, invece, ad accogliere stupide novità) intrapresa da chi, magari, conosce poco l’italiano, e a fronte di un “imperialismo” valoriale, e non solo, subito allegramente.
Vogliamo impedire al commensale del ristorante di lasciare la sua recensione in internet con il gradimento della lokescion (sic) infestata dalle zanzare? Si può concedere la soddisfazione di sentirsi, sul palcoscenico, come aspiranti borghesi soddisfatti, protagonisti nella scena di un film?

Televisore
Elettrodomestico (pericoloso) in grado di trasmettere immagini ed emettere suoni e riprodurre la voce umana. I grandi della letteratura e i più eminenti filosofi non hanno potuto occuparsene poiché la sua invenzione e la sua diffusione sono loro successive. Con i suoi contenuti, messaggi sparsi nell’etere, penetra nelle case dei cittadini, nel loro spazio più intimo. Strumento del potere, organo della propaganda e dello spreco, è dedito al rimbambimento e alla corruzione (dei valori) del popolo. Dà l’illusione di attenuare la solitudine e la paura di restare soli con se stessi. Crea, a suo vantaggio, la mitizzazione di personaggi, non di rado insulsi, del proprio ambiente.

Trasgressione
La trasgressione è un po’ il sale di vite insipide, un misero trucco per rendere accettabile la noia dell’esistenza. Nel passato era la salvezza dei matrimoni, nel regno dell’ipocrisia, quando le donne erano schiave rassegnate e i mariti si svagavano con il sesso prezzolato dei bordelli o con tresche assai poco romantiche (in mancanza di dame delle camelie).
Oggi la trasgressione è confezionata dal potere. Naturalmente è finta trasgressione. Un esempio è il rock di Stato, sponsorizzato in coda al Tele-Giornale.
Se l’obiettivo minimo è offendere il perbenista o stupire il borghese, questi non se ne accorge nemmeno: o ne ride o compatisce. Non scandalizza nessuno. Esibisce costumi e acconciature assurde in nome dell’arte (da non credere!). Sono saturnali, carnevalate fuori stagione, senza critica vera e profonda e quando sono spontanei, non creati a tavolino, ribellismo giovanilista: l’establishment ci va a nozze.
Il sistema può riassorbire l’apparente anticonformismo, farlo proprio o ergersi a difesa contro. Ci ritroviamo perciò espropriati persino della trasgressione (che forse era già un’illusione quando era vera).

Nicola Belcari

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