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mercoledì 16 ottobre 2024

DISINCANTATO — il Blog di Adolfo Santoro

Adolfo Santoro

Vivo all’Elba ed ho lavorato per più di 40 anni come psichiatra; dal 1991 al 2017 sono stato primario e dirigente di secondo livello. Dal 2017 sono in pensione e ho continuato a ricevere persone in crisi alla ricerca della propria autenticità. Ho tenuto numerosi gruppi ed ho preso in carico individualmente e con la famiglia persone anche con problematiche psicosomatiche (cancro, malattie autoimmuni, allergie, cefalee, ipertensione arteriosa, fibromialgia) o con problematiche nevrotiche o psicotiche. Da anni ascolto le persone in crisi gratuitamente perché ritengo che c’è un limite all’avidità.

L’erotomania, la dipendenza affettiva e la co-dipendenza

di Adolfo Santoro - sabato 11 marzo 2023 ore 09:00

Quanto ho esposto la scorsa settimana richiede alcuni chiarimenti: comincio dall’”identificazione con l’aggressore”. Ne ho scritto a proposito della complicità di quelle donne che, dimenticandosi di “Essere”, rimangono identificate col loro ruolo domestico, con la loro maschera di centralino nelle comunicazioni in famiglia, di figlia, madre e moglie; questa dimenticanza esistenziale le condanna ad essere complici del potere. Il potere nei regimi patriarcali (cioè di tutti i governi sulla terra) si basa sul controllo della diversità delle donne con ogni mezzo, tra cui la religione: lo sapeva bene Khomeini, che, per instaurare una dittatura teocratica, cominciò con l’imporre alle donne iraniane limitazioni nel loro modo di esprimersi e di apparire nella comunità. La posizione subalterna della donna può svilupparsi solo nei contesti familiari e sociali che Salvador Minuchin definisce di “invischiamento”: ci si occupa troppo gli uni degli altri ed i confini tra i soggetti sono confusi. Accade così che la posizione subalterna delle donne le releghi nel regno della “dipendenza affettiva” o “love addiction” e della “co-dipendenza”, da cui si può uscire solo attraverso la ricontrattazione dei rapporti di potere tra i sessi. L’”identificazione con l’aggressore” rientra in questo contesto familiare e sociale di invischiamento e nella co-dipendenza.

Pia Mellody, nel libro “Facing love addiction”, distingue tra “dipendenza affettiva” e “co-dipendenza”: anche se in entrambi i casi ci sono fusione con l’altro e compulsiva focalizzazione sul prendersi cura dell’altro. Ma nella dipendenza affettiva la persona “può” scegliere un partner senza problemi, nella co-dipendenza la persona “deve” scegliere un “partner con problemi” al fine di “salvarlo”. La motivazione nella dipendenza affettiva è “io ti conquisterò”, quella della co-dipendenza è “io ti salverò”.

Adèle Hugo era la quinta figlia del famoso scrittore francese dell’ottocento Victor Hugo. Adèle si divertiva a suonare il piano ed era conosciuta per la sua bellezza e i suoi lunghi capelli scuri. Nel 1851, per motivi politici, la famiglia Hugo si trasferì su un’isola del canale della Manica; qui gli Hugo rimasero fino al 1870 e Adèle s’innamorò di un ufficiale dell’esercito britannico. Fu fissata al 1855 la data del loro matrimonio, ma Adèle prima rifiutò il matrimonio, poi ebbe un ripensamento e cercò la riconciliazione; l’ufficiale rifiutò ogni coinvolgimento ulteriore. Nel 1856 in Adèle divennero evidenti segni di un disturbo mentale. Il militare, nel prosieguo della sua carriera, fu trasferito in varie parti del mondo e Adèle lo seguì per anni e anni, fino ad essere abbandonata, sola e allucinata, alle Barbados, da dove una compassionevole donna di colore la riportò a Parigi per le cure del caso. Il romantico innamoramento era alla base della sua dipendenza affettiva. Ai nostri giorni l’innamoramento patologico tende facilmente a diventare erotomania. L’erotomane tende a scegliere un partner affascinante, intrigante, apparentemente forte e determinato: l’avventura sessuale struttura la relazione. Il problema deriva dal fatto che l’erotomane tende a scegliere un partner emotivamente indisponibile, impegnato in un’altra relazione o senza desiderio di impegnarsi. L’erotomane vive allora il rifiuto come una sfida alle proprie capacità seduttive e l’attrazione sessuale si trasforma in un’ossessione. Già nell’innamoramento c’è un certo grado di dipendenza affettiva e fusione con il partner, ma, con la maturazione del rapporto l’innamoramento dovrebbe ridursi ad una componente dell’amore. 

L’amore si fonda infatti nell’equilibrio di tre fattori: amicizia, avventura/innamoramento e impegno e può così esprimersi nell’autonomia/amore/rispetto per se stesso e quindi per l’altro. La scarsa autostima dell’erotomane fa sì che il rapporto sia vissuto come unico, indispensabile e necessario per la propria esistenza. Per evitare l’abbandono e la rottura della relazione, la cui paura ha radici infantili, il partner viene vissuto come talmente importante da annullare se stesso e non ascoltare i propri bisogni. Ne consegue che l’erotomane ha bisogno di continue rassicurazioni e non sa identificare i propri bisogni ed obiettivi se non in presenza di un supporto o di un contesto protettivo. Tale insicurezza di fondo può manifestarsi non solo col partner, ma anche con un genitore, un altro familiare, un amico, l’autorità. Si manifestano inoltre il corteo di “sintomi” proprio della dipendenza: quando la persona amata è assente, egli manifesta una sindrome d’astinenza: soffre e ricerca compulsivamente l’altro; perde tempo in gesti, pensieri e fantasie, destinati a mantenere la relazione; la sua socialità, il lavoro e gli hobby sono, di conseguenza, compromessi o ridotti delle attività sociali, professionali o di svago; cerca di controllare la relazione piuttosto che se stesso; ignora i problemi conseguenti alla compulsività; tende a ripetere lo schema di attaccamento insicuro anche in altre relazioni amorose.

Il rapporto tra una persona estremamente narcisista - Anaïs Nin – ed un co-dipendente – il suo primo marito, Hugh Parker Guiler - è ben esemplificata da questa storia di coppia. La Nin era figlia di un pianista e di una cantante; l’evento fondamentale della sua vita fu che il padre, traditore, abbandonò la famiglia quando lei aveva undici anni; iniziò allora a scrivere il suo primo diario: la scrittura e il sesso divennero così il suo tentativo di ricongiungersi al padre. A 20 anni sposò Guiler, che lavorava in banca. All’interno della coppia Guiler scoprì la sua parte artistica, mentre la Nin scoprì la sua noia, che poteva esorcizzare solo con l’eccitamento dei suoi tradimenti. Fu, tra gli altri amanti, amante di Henry Miller e del filosofo-psicoanalista Otto Rank e, per qualche anno, anche bigama. Guiler per tutta la vita continuò a guadagnare molto come bancario, mantenne alcuni amanti della Nin e collaborò con l’espressione artistica della Nin. La produzione letteraria della Nin rientra, purtroppo, nel trash onanistico e esibizionistico adolescenziale, in cui il sesso è semplicemente consumato. Morì, a 73 anni, di cancro, assistita dal suo secondo marito, di sedici anni più giovane di lei. Non mi meraviglia la causa della morte, perfettamente in linea con un’affermazione del suo Diario: “Io mi sono sempre vergognata a prendere. Così ho dato. Non era un pregio. Era un travestimento.”. L’apprendista psicoanalista Otto Rank, che nel 1928 era stato giustamente congedato da Freud dalla Società Internazionale di Psicoanalisi, mostrò tutto il suo disvalore come psicoterapeuta facendosi traviare piuttosto che ascoltare le sofferte vicissitudini edipiche della Nin. Ma forse il problema degli psicoanalisti, come quello dei loro pazienti, è che parlano tanto, ma non hanno gli strumenti non verbali per agire giustamente.

Al contrario che nella dipendenza affettiva, nella co-dipendenza il rapporto di salvazione è talmente in primo piano che, nei rari casi in cui la salvazione è efficace, spesso la relazione finisce, per cui il salvatore ricomincia a cercare un’altra “vittima” bisognosa di aiuto. La co-dipendenza può essere ben compresa dalla descrizione del “triangolo drammatico” di Karpman. Questi mette ai vertici del suo triangolo tre ruoli: il “salvatore”, il “persecutore” e la “vittima”. All’inizio il co-dipendente assume il ruolo di salvatore, mentre il partner problematico assume il ruolo di vittima, ma, in una seconda fase il partner problematico può diventare persecutore e il co-dipendente diventa vittima; i ruoli, infine, si ribaltano ed il partner co-dipendente assume il ruolo di persecutore e il partner problematico quello di vittima.

Il termine "codipendenza" è stato coniato negli anni '70 dagli psicologi che studiavano il comportamento degli alcolisti e dei loro familiari: essi osservavano che, mentre alcuni familiari di alcolisti si allontanano emotivamente dall’alcolista, per altri l’alcolista diventa il centro del proprio esistere preoccupandosi sempre di lui e risolvendo i problemi al suo posto. Il familiare co-dipendente finisce così per diventare un complice involontario. La persona co-dipendente proietta nel partner il suo bisogno di affetto/attenzione/amore, spesso privo di sessualità genitale; cercando di controllare il partner, si annulla nella relazione attraverso la compiacenza e l’accondiscendenza a qualsiasi richiesta dell’altro, perché teme di poterlo deludere: ne conseguono infelicità, sacrifici e la possibilità di subire manipolazioni e violenze da un partner che ha aspetti patologici. Il co-dipendente ha spesso avuto, nell’infanzia, un genitore che aveva a sua volta una dipendenza; è stato troppo responsabilizzato da bambino fino a fare da genitore al proprio genitore; da adulto tenderà a cercare un partner con le stesse caratteristiche del genitore problematico e cercherà di cambiare il partner e salvarlo dall’auto-distruzione.

Un esempio di co-dipendenza è proposto da Roberto Vecchioni nella canzone “Stranamore (forse non lo sai, ma pure questo è amore)”:

“E lui che torna a casa sbronzo quasi tutte le sere,

e quel silenzio tra noi due che sembra non finire,

quando lo svesto, lo rivesto e poi lo metto a letto,

e quelle lettere che scrive e poi non sa spedirmi...

forse lasciarlo sulle scale è un modo di salvarmi…”.

Approfondirò ulteriormente il tema la prossima volta e ne scriverò più diffusamente altrove.

Adolfo Santoro

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