Tazze made in China in casa Trump
di Franco Bonciani - mercoledì 08 febbraio 2017 ore 07:35

Il mio primo viaggio a New York, un mese fa, è stato un tuffo dentro emozioni fortissime.
Camminare per le strade a testa in su, guardando la Manhattan dei grattacieli,
strabiliato nel vedere dal vero tutte quelle cose che ti sembra di conoscere da
una vita ma che hai sempre pensato facessero parte di un mondo fantastico,
impossibile. La sensazione che quei luoghi, quei palazzi che
hai visto mille
volte
al cinema e nei notiziari fossero al tempo stesso una conferma ed una
sorpresa. Ti svegli da un sogno e tocchi con gli occhi che quel sogno
è lì, davanti a te, e per quanto ti possa sembrare impossibile
è tutto vero,
sei sveglio, ci sei dentro.
Le mille icone di uno dei centri, forse il centro vero
dell’universo, sono lì. La Statua della Libertà, lo skyline visto dal basso e
dall’alto, il ponte di Brooklyn che trovavi sulla gomma da masticare, Central
Park, l'Empire State Building, i musei... Tutto all’insegna della
grandezza dell’opera dell’uomo,
della sua ingegnosità e tenacia, enorme, spettacolare.
Ti si chiude lo stomaco quando pensi che sei nel posto dove
arrivò quell’11 settembre. Credo che chi a quei tempi aveva almeno dieci
anni si ricorderà sempre dov’era e cosa stava facendo mentre le Torri Gemelle furono
tirate giù
in diretta tv. Trovarsi lì, camminare in quelle strade, visitare il museo 9/11, sentire fisicamente quella polvere, percepire l’orrore, rendersi
conto di cosa accadde quel giorno e in quelli successivi dove sei adesso, i
pensieri si rincorrono.
Delle Torri Gemelle è rimasto il vuoto di uno spazio
enorme occupato adesso da due enormi fontane con vasche che inghiottono l’acqua, ci sono
nuovi grattacieli ed altri ne
sorgeranno a breve. New York deve essere coerente con la sua ragion d’essere,
deve strabiliare: non può, Manhattan, ripiegarsi sul dolore e farsi troppe
domande, deve ripartire tutti i giorni alla grande, rinnovarsi e mostrare a
tutto l’universo che continuerà a stupire, costi quel che costi.
Con mille contraddizioni ed anche di più. Come la Fifth Avenue innevata, con le sue vetrine dove anche le impalcature dei lavori sono uno spettacolo di luci e addobbi natalizi: qua e là trovi qualche homeless sdraiato su un cartone, e la gente che gli passa accanto velocemente, e gli pare cosa normale.
La bellezza di sopra nelle zone ricche che fa pendant con la bruttezza funzionale di quello che c’è sotto, la metropolitana: pochi fronzoli, è un trionfo di travi d’acciaio, su stanno le strade, giù passano i vagoni, stazioni brutte, ma ce ne sono tante e si viaggia bene.
Tutti i musei, dove spazi, idee e capolavori non mancano e ti chiedi che ci faccia un Cimabue o un Piero della Francesca nella collezione della Fondazione Frick, uno dei “padri” dell’America, artefice di una meravigliosa pinacoteca e di pessimi ricordi. Quelli di uno che partendo dal nulla ha fatto soldi facendo morire operai, minatori, a centinaia, come chissà quanti altri pionieri che ricordiamo adesso per le meraviglie che ci hanno lasciato.
Central Park e le prestigiose
residenze che ci si affacciano, ricchezza e tragedie, come nel luogo dove fu
ucciso John Lennon, davanti al Dakota Building l’8 dicembre 1980.
Su a nord,
finito Central Park, invece trovi Harlem, che sembra un altro emisfero ed invece è
giusto ad un paio di fermate della metro dal lusso più sfacciato. Altro
panorama, altri sguardi, un mondo parecchio diverso.
Mi ha colpito un affaccio da Brooklyn, vicino al ponte di
fronte al ricchissimo sfondo dei grattacieli di Wall Street e dell'alta finanza. Di fronte lo spettacolare slyline dove tra poco spunteranno altre torri alte e lucide. In primo piano, altra sponda dell’East River, delle strutture sportive,
campi di basket, calcetto, volley, forse di bocce e squash coperte da tettoie
azzurre. Roba semplice, di base, a disposizione di tutti, che sembra quasi misera rispetto a quello che si vede poche centinaia di metri più in là.
Ti viene da pensare che questi grandi contrasti, fra
ricchezza e miseria, sono il manifesto della nostra civiltà occidentale: il
troppo contrapposto al troppo poco o magari al nulla. Ti chiedi come sia
possibile, come sia sostenibile, vedere che lungo l’High Line, la nuova
spettacolare passeggiata ricavata nella zona West da una ferrovia sopraelevata
dismessa, stanno tirando su ancora nuovi grattacieli uno dietro l’altro. Ti chiedi come siano finanziabili cose del genere mentre da noi solo fare una tramvia o una
stazione dell’alta velocità sembra una roba pazzesca.
Insomma, come si paga tutto questo? Soldi americani,
produzione, lavoro americano? Sarà, ma anche nella Trump Tower, dove Donald e
Melania hanno un appartamentino da tre soldi e una lira, compri ninnoli e souvenir rigorosamente made in China.
Così come nei bei musei, dal Met al Moma al Guggenheim all’Empire State Building. Ci sta che per continuare a tenere in vita Manhattan, per darle un futuro stupefacente, impensabile senza qualcosa di più grande, alto e lussuoso da realizzare ogni giorno, si debba fare affidamento sui magheggi dell’alta finanza. Quella cosa che ti fa pagare un succo d’arancia o un chilo di farina la cifra che hanno deciso giù a Wall Street, tanto per gradire un po’ di derivati e affini.
Poco importa se poi questo meccanismo ogni tanto miete vittime, siamo nella parte ricca del mondo e ci si vuol rimanere, costi quel che costi. E se c’è qualche miliardo di persone al mondo che muore di fame, amen. Se ogni tanto salta una Lehman Brothers, e giù a cascata una manciata di altre banche in giro per il pianeta, è obbligatorio farsene una ragione. In fondo i risparmiatori di Banca Etruria sono i nuovi martiri, le vittime della nuova guerra, si tratta di un prezzo da pagare, e del resto non è una novità.
Ci sono sempre stati i ricchi e i poveri, solo che una volta i poveri non sapevano che si potesse essere ricchi. Che nel loro piatto sudicio non ci fosse nulla gli pareva normale. Adesso invece vedono in televisione o sul web cosa si mangia nella parte ricca del mondo a Natale, Capodanno ed in ferie. Il mondo ha un aspetto parecchio diverso a seconda che lo si veda con la pancia piena o vuota. Alla lunga finisce che questi si incazzano, con quello che ne consegue in terrorismo dalle parti nostre. Di solito, 11 settembre a parte, queste cose avvengono lontano da Wall Street: i barconi che partono dalla Libia, chi scappa da Aleppo non attraversa l’Atlantico ma resta da noi in Europa.
Forse tutto questo è ben sintetizzato nell’opera di Maurizio
Cattelan al terzo piano del Guggenheim Museum: si chiama
America ed è un wc
in oro massiccio, a disposizione di chiunque abbia bisogni impellenti. Basta
mettersi in fila e puoi toglierti lo sfizio di usarlo a modino. Non so perchè
ma, dopo avercela fatta, ho provato una certa soddisfazione.
Oltre oceano c’è chi pensa di risolvere i problemi tirando su i muri e dando di nuovo il via libera alla finanza spregiudicata e aggressiva, e così si mette bello tranquillo in casa propria.
Fino alla prossima bomba.
Franco Bonciani