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venerdì 04 ottobre 2024

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

Ma le scrittrici? Eccole, finalmente!

di Pierantonio Pardi - mercoledì 18 ottobre 2023 ore 09:00

Si inizia con due romanzi inquietanti: nel primo incontreremo una Matrigna, nel secondo una Strega bambina. Misteri, sparizioni e apparizioni . Vanno in scena Teresa Ciabatti e Maria Cristina Impagnatiello.

Chi segue il mio blog avrà forse notato che su trenta autori recensiti, ventidue sono uomini e otto donne. Non dipende da me, ma effettivamente le donne sono in minoranza per quanto riguarda la narrativa dal 1900 ai giorni nostri, anche se questa percentuale riguarda esclusivamente la Toscana; quindi adesso cerchiamo di ristabilire un minimo di equilibrio e diamo spazio alle scrittrici, iniziando, come è ormai nel mio stile da una “più conosciuta” fino ad un’altra “meno conosciuta”.

Insisto nell’usare questa formula identificativa perché l’essere più o meno noti e letti dipende esclusivamente dalle case editrici; quelle grandi (Einaudi, Mondadori, Feltrinelli, Sellerio, La nave di Teseo etc…) pubblicizzano i loro autori in modo massiccio e li impongono sul mercato librario, quelle piccole hanno una “potenza di fuoco” molto più ridotta e quindi gli autori sono penalizzati e devono ricorrere al web per farsi pubblicità e per fortuna, spesso, questo escamotage funziona. Il web ha una sua democrazia e sceglie in libertà, senza condizionamenti. Le autrici che scelgo, comunque, hanno già subito una mia personale selezione e quindi i testi che presento sono qualitativamente validi; questo per chiarire che non pubblico tutto e tutti/e.

Inoltre, mi preme fare un’altra considerazione: l’intento del mio blog è di recensire e far conoscere il maggior numero di scrittori/scrittrici toscane, ma se si considera che, oltre a Firenze che è capoluogo di Regione, i capoluoghi di Provincia in Toscana sono nove (Arezzo, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa – Carrara, Pisa, Prato, Pistoia, Siena) e che le città grandi e piccole, compresi i paesi, sono 273, risulta evidente che parlare di tutti è matematicamente impossibile e, in ogni caso, non avrebbe senso; però l’idea l’ho lanciata e magari altri scrittori nelle loro città potranno iniziare la ricerca. Perché è cosa nota ormai che tutti scrivono: nelle città, nei paesi, nei borghi più sperduti e quindi chi ne ha voglia e tempo li vada a scovare. Io cercherò di portare a termine, ma il cammino è ancora lungo, il mio percorso, che comprende, per adesso scrittori/scrittrici di Pisa, Livorno, Lucca, Viareggio, Firenze, Grosseto. E, tornando alle scrittrici, come accennavo sopra, ho avuto ed ho qualche difficoltà a trovarne. Comunque per i prossimi blog, lo impone la par condicio, la scena sarà riservata soltanto a loro; inizierò quindi con due autrici, Teresa Ciabatti e Maria Cristina Impagnatiello. Maremmana la prima (è nata ad Orbetello, ma vive a Roma), pugliese la seconda, ma naturalizzata pisana da anni.

Teresa Ciabatti

Matrigna

Iniziamo quindi a parlare di Matrigna, il romanzo di Teresa Ciabatti e partirei , proprio per farvi assaporare da subito l’atmosfera particolare, misteriosa e tragica, di questo romanzo, presentandovi l’incipit:

Era inverno quando mio fratello sparì.

La mamma mi aveva chiesto di tenerlo per mano. Dunque è da questa mano che si è staccato. E dunque se avessi stretto più forte, se solo avessi stretto fino a fargli male pur di non perderlo in mezzo alla folla che spingeva, e alla cascata di coriandoli, se solo io, Noemi, nove anni appena compiuti, avessi stretto fortissimo.

Un incipit che ci proietta immediatamente in medias res con uno stile stringato, essenziale che ci fornisce comunque indizi importanti; era carnevale e si desume dai coriandoli, la bambina ha nove anni e si chiama Noemi, forse si era distratta.

Noemi sarà descritta in seguito come una bambina normale, ma dal fisico sgraziato, mentre il fratellino Andrea ha sei anni ed è un bambino speciale: capelli biondi, occhi azzurri, dolcissimo.

L’attenzione e le premure della madre sono tutte per Andrea e lei, la sorella, stava nell’ombra, in disparte, coltivando una muta gelosia che comunque non farà mai trapelare.

Ma la scomparsa del fratello e le successive indagini con tanto di psicologi che cercheranno di risollevare Noemi dal trauma della sparizione saranno una costante della sua adolescenza ; intanto gli anni passano e la bambina, ormai ragazza, vuole emanciparsi e non marcire in paese, vincendo le resistenze dei genitori che vorrebbero trattenerla con loro esclusivamente per la paura di rimanere soli e infatti la frase ricorrente, quasi un mantra era:

Togli a un matrimonio i figli, sottrai i figli, e vedi cosa resta.

Ma, nonostante tutto, Noemi se ne va ed inizia una nuova vita, fatta di lezioni universitarie, uscite con amici, temporali improvvisi e primi amori.

Ma, proprio mentre sta riuscendo non senza difficoltà a ricostruirsi una vita, ecco che, improvvisamente una telefonata la avverte che sua madre ha avuto un incidente e lei deve tornare immediatamente a casa per soccorrerla.

Il ritorno innescherà un nuovo trauma in lei; infatti troverà una madre (prontamente ristabilitasi dall’incidente, un banale fuori strada avvenuto nella notte, di ritorno da un locale), per niente depressa, con i capelli tinti di biondo, attiva su Facebook e fidanzata con un ragazzo, Luca, che potrebbe essere suo figlio.

Ed ecco come Noemi descrive il suo stato d’animo, dopo la sconcertante scoperta:

Non volevo sapere del tempo che la mamma e il ragazzo passavano insieme, né che quando erano lontani si messaggiavano (Luca le aveva scaricato WhatsApp sul telefono). Non volevo sapere che spesso andavano in pizzeria, tantomeno di quelle domeniche sul divano davanti alla tv, il plaid sulle gambe Che diritto avevo? (…) Ero fuggita per liberarmi dal suo controllo, non potevo tornare per imporre il mio.

Noemi è consapevole che tra lei e sua madre non è mai esistita intimità e così come lei non le parla di Davide, il ragazzo con cui sta insieme, sua madre non le parla di Luca.

Questa sua metamorfosi la trasforma ai suoi occhi in matrigna quasi come assistesse ad una seconda perdita, stavolta metaforica, causata dalla trasformazione di sua madre che innesca una serie di descrizioni che diventano un susseguirsi di vuoti, di angosce, di emozioni, un flusso ininterrotto di pensieri e un accavallarsi di ricordi dove si sovrappongono due immagini antitetiche della madre: Carla, la mamma di Noemi, una donna in vestaglia, schiacciata dalla depressione post partum e Carla, la mamma di Andrea, una signora con i tacchi, intenta a esibire il suo bambino bellissimo. Eppure Noemi e Andrea sono fratelli, ma era successo proprio così e quando Andrea sparisce, in Carla muore la madre così che Noemi si ritrova orfana di mamma e figlia di matrigna.

Poi succede che sua madre scompare improvvisamente e per Noemi si rinnova un incubo, anche se questa volta di breve durata, perché scoprirà da facebook che sua madre era scappata al mare con Luca per una breve vacanza.

Ma, alla rabbia e allo spavento, subentra ben presto un altro stato d’animo; osservando sua madre di nuovo ricoverata in ospedale, ecco che si fa strada nell’animo di Noemi la compassione:

Nella penombra della stanza distinguevo la sua sagoma. Quel modo di accoccolarsi su un fianco, la mano a pugno davanti alla bocca. Mora, bionda, giovane, vecchia, in un letto l’avrei sempre riconosciuta. Nell’oscurità, più che alla luce, distesa, più che in piedi (…) Non mi ero mai accorta di quanto fosse rimpicciolita. (…) Gambe e braccia simili a rami secchi. Le cosce, quelle cosce che si rimirava allo specchio, non esistevano più. Come non c’erano i polpacci, né le caviglie sottili, e le ginocchia appuntite. (…) C’era il mio sguardo che impiegava pochi istanti a comprenderla tutta. Quando era successo, quando mia madre era diventata l’uccellino, quell’uccellino?

Ed è in questo preciso momento che Noemi la perdonerà, per essere stata una madre terribile prima che suo fratello sparisse, quando non aveva scuse, quando la sua indifferenza nei confronti di sua figlia era una scelta precisa, quando era una matrigna travestita da mamma.

Ecco cosa dice del suo libro l’autrice:

«Matrigna è un modo per raccontare il lato nero della maternità che ho vissuto come figlia e come madre, anche se la storia non è una autobiografia. Ma ho scritto con la consapevolezza di cosa vuol dire essere madre, questo aspetto condiziona notevolmente la mia scrittura».

E ha aggiunto:

«Ho amore verso i miei protagonisti e la mia sfida è quella di raccontare la complessità dell’animo umano. Non c’è solo il lato nero, oscuro, io non voglio incasellare i personaggi».

Un elemento particolare, in questo romanzo, è dato dall’assenza di stagioni, di colori, di profumi: tutto rimane in un tempo senza tempo. Su questo aspetto l’autrice ha peraltro dichiarato:

Tengo agli aspetti relativi al luogo, ma sin da bambina non alzavo lo sguardo, come se la mia visuale restasse ancorata all’altezza degli occhi.

Sotto certi aspetti Matrigna si potrebbe definire un romanzo di formazione, perché Noemi, alla fine riesce a superare i suoi demoni e a risolvere il conflitto intenso e drammatico con sua madre, a superare le sue paure e a trovare una sua autonomia.

Altri romanzi di Teresa Ciabatti : I giorni felici (2008), Il mio paradiso è deserto (2013), La più amata (finalista al premio Strega, 2017

Maria Cristina Impagnatiello

La strega bambina

La strega bambina è un titolo che nasconde in sé un ossimoro bizzarro. Nell’immaginario collettivo, infatti, la strega è un’ entità spaventosa e orribile, così come ce l’hanno sempre raccontata nelle fiabe, da Hansel e Gretel in poi, mentre la bambina evoca atmosfere idilliache di ingenuità e purezza, anche se la letteratura e il cinema ci hanno proposto spesso visioni terribili di bambine, dalla dodicenne Regan de L’esorcista alle due bambine fantasma che appaiono davanti al piccolo Danny, nell’ Overlook Hotel nel film Shining di Kubrick fino a Carrie, l’adolescente protagonista del romanzo di Stephen King, che stermina tutti quelli che la prendevano in giro.

In realtà in questo romanzo la strega bambina non è cattiva, ma è figlia di un sogno e nasce, evocata o forse no, dalla fantasia di Eloisa, la protagonista, che vive una storia sospesa, appunto, tra la realtà e il sogno. Il nome della protagonista, Eloisa, ci riconduce al romanzo di Rousseau Giulia o la nuova Eloisa , dove si narra la storia d’amore di Giulia, moglie del signor Wolmar e figlia del Barone d’Etange, per il giovane precettore dei suoi figli, Saint – Preux; una storia infelice e drammatica che ricorda quella che unì , in epoca medievale, Eloisa con il suo maestro Abelardo. Con la scelta dei due nomi nel titolo, Rousseau aveva voluto creare una sorta di corrispondenza tra queste due donne, entrambe vittime di un amore tragico.

Nel romanzo di Maria Cristina, il tema del doppio richiama inevitabilmente lo specchio, uno specchio metaforico dove Eloisa e Giulia sono due facce della stessa medaglia. Giulia è l’ ex-amante perduta o forse smarrita di Eloisa, un’ amante strana, fragile, ambigua, che appare e sfuma nei sogni e chiede di essere trovata o meglio ritrovata e per farlo si materializza anche in modo fantasmatico; è l’eterno motivo della quête , motore narrativo di migliaia di storie, da Dante ad Ariosto. Una quête che dissemina indizi, epifanie misteriose, colpi di scena e che ha per cornice ed incipit un antico teatro ed un fiume. E soprattutto i sogni, la magia dei sogni.

Due son le porte dei sogni inconsistenti:

una ha battenti di corno, l'altra d'avorio:

quelli che vengono fuori dal candido avorio,

avvolgon d'inganni la mente, parole vane portando;

quelli invece che escon fuori dal lucido corno,

verità li incorona, se un mortale li vede.

(Omero, Odissea, XIX, 560-567)

Questo è il sogno di Penelope così come ce lo racconta Omero che , molto prima di Freud, ci parla di sogni che possono essere veritieri ed alludere a qualcosa che deve accadere, oppure ingannevoli. In questa storia, Eloisa apre entrambe le porte, quasi volesse entrare in un doppio sogno e le attraversa, grazie all’aiuto di una strega bambina, di cui non vi rivelerò l’identità, che le fornisce un magico amuleto, il mezzo magico per dominare i sogni…

Questa ricerca di Eloisa somiglia molto, nel suo più profondo significato a quello che scrive Arthur Schnitzler in “Doppio sogno”: “La realtà di una notte, e anzi neppure quella di un’intera vita umana, non significano al tempo stesso, anche la loro più profonda verità”. Anche Eloisa, come Albertine, la moglie di Fridolin, protagonista del romanzo di Schnitzler compirà attraverso i sogni una sorta di catabasi catartica negli abissi della coscienza, alla ricerca delle sue radici più profonde, consumate tra amori omo ed eterosessuali, antichi quadri ed essenze del passato, donne vecchie, depositarie di segreti, immergendosi in paesaggi onirici e reali, geografie dell’anima e del corpo, amplessi consumati e subito dimenticati, seguendo il fil rouge di un libro di Quenau, una sorta di filo d’Arianna, per poi scoprire, come in un puzzle variegato e surreale, che questo suo viaggio trova un senso, proprio nella sua genesi e che le maschere con cui ha condiviso questo suo percorso sono in realtà i molteplici frammenti della sua vita.

Al contrario del romanzo della Ciabatti che si sviluppa in uno spazio e un tempo indefiniti, nel romanzo di Maria Cristina i contesti sono immediatamente descritti e diventano protagonisti muti delle storie.

Nel primo capitolo, Eloisa Citi, trova lavoro come receptionist nell’antico Teatro Rossi di piazza Carrara, a Pisa, ma già durante il colloquio con il sig. Nardi, la sua attenzione è rivolta ad una persona:

Qualcun altro è entrato nel foyer, probabilmente per il colloquio successivo. Poco più di un’ombra, l’ho intravista con la coda dell’occhio: una ragazza mora, dai capelli ricci e ondulati, sicura nell’andatura, decisa.

C’è già in questa descrizione un indizio inquietante, una sorta di attesa di un evento, una particolare suspense; e infatti, a chiusura del capitolo:

All’ingresso rivedo la stessa ragazza mora (…) la spalla destra appoggiata a uno stipite della porta, avvolta da abiti scuri e da una lunga sciarpa di lana nera che, morbida, la chiude in un abbraccio. Pallida come il latte, gli occhi indecifrabili, i capelli lunghi un po’ arruffati. Dimostra circa trent’anni, eppure ha l’aria di una donna di un’altra epoca o di un altro pianeta. Mi guarda e ride, o meglio, sorride, non mi perde di vista un attimo, non si lascia sfuggire nemmeno un particolare, un gesto, mentre slego la mia bicicletta dal palo, imbarazzata da quello sguardo così insistente.

Ecco, già da questi piccoli segmenti narrativi si intuisce quale sarà l’atmosfera del libro: insomma, qui siamo in una piazza pisana, all’interno di un vecchio teatro che ha riaperto i battenti, con i senegalesi all’esterno che si sbracciano per far parcheggiare gli automobilisti …niente di più prosaico e realistico e invece, ecco quel particolare che inquieta.

E anche dopo, nel capitolo seguente, seppure in un sogno Eloisa vede una donna gigantesca con le branchie, immersa nel fiume Arno:

E’ una donna gigantesca, sotto il livello del fiume, l’acqua come una lente di ingrandimento ne ha deformato le proporzioni: è immersa completamente ma viva, respira come un pesce, ha delle branchie, proprio ai lati del collo, è la donna vestita di nero, la donna del teatro, con i lunghi capelli scuri che sembrano alghe, galleggianti. Ride, mi deride, si prende gioco di me, mi rialzo e comincio a correre. L’aria diventa sempre più densa quasi liquida; il cemento sotto i miei piedi si sfalda, si scioglie come eroso dalla lava di un vulcano; sono nell’acqua, sono nel fiume, ma non ho le branchie.

Quqle sia l’identità di quella donna, Eloisa la capirà e scoprirà anche il segreto che nasconde; un segreto che darà l’avvio all’inchiesta, alla ricerca di Giulia, attraverso un viaggio in cui comparirà anche un vecchio amore, strane vecchiette, un paese, Chianni, avvolto nel mistero e infine l’apparizione di lei, la strega bambina, dopo una notte d’amore con Giulia. Porta appeso al collo l’amuleto, lo stesso che Giulia accarezzava poco prima. E ad Eloisa che le chiede dove l’abbia preso, risponde:

Questa è la pietra che mi fa attraversare le porte dei sogni. Tu non te la ricordi perché quando mi sveglio scompare, e io mi dimentico anche che esiste.

E ad Eloisa che le chiede:

Ma se tu sei me quando avevo la tua età, perché non mi ricordo di questo incontro?

Lei risponde:

Perché di ciò che succede quando ci addormentiamo, quando sogniamo, al risveglio ricordiamo solo frammenti imprecisi.

Poi la bambina si sfila la collana e l’avvolge intorno al collo di Eloisa che le chiede se adesso anche lei è una strega e quale potere abbia l’amuleto. La bambina le risponde:

il potere di riuscire a varcare le porte dei sogni degli altri e comprendere ciò che si aspettano da noi. (…) Entrando nei sogni degli altri riuscirai a spiare i loro segreti, quelli che nemmeno loro credono di avere. Sarai tu a decidere come utilizzare il tuo potere.

Un potere immenso, quindi. Ma Eloisa lo sfrutterà? Non posso aggiungere altro perché toglierei gran parte del fascino ai vari colpi di scena che compariranno nella trama.

Posso solo darvi un indizio, confessandovi che, insieme alle due donne, protagoniste di questo romanzo, il terzo, indiscusso, enigmatico protagonista è il Sogno.

De “La strega bambina” esiste anche il book trailer che si può vedere ai seguenti link:

https://youtu.be/z2V4zZFgyE8?si=i27q3VqSTNIasDsz

https://youtu.be/AHjxbwQE6t8?si=ddD5WkD3XC7LBw9C

Maria Cristina Impagnatiello ha iniziato a scrivere a dieci anni, complice una Olivetti verde oliva, regalatale dai suoi genitori. Ha pubblicato finora vari racconti per MDS editore e per le Edizioni Il Foglio. Il suo secondo romanzo Valerie (MDS editore, 2020) si è classificato terzo al premio Dostoevskj.

Pierantonio Pardi

Articoli dal Blog “Le pregiate penne” di Pierantonio Pardi