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Attualità sabato 03 luglio 2021 ore 15:40

La stagione della mafia ripercorsa da Crini

Alessandro Crini

Il procuratore capo di Pisa è stato relatore di una iniziativa dell'associazione Arco di Castruccio che si è svolta a Palazzo Grifoni



SAN MINIATO — Il coraggio di Leonardo Sciascia che per primo parlò della mafia e delle dinamiche con cui si agiva e si alimentava. L’inizio della lotta a Cosa Nostra, l’ascesa dei Corleonesi, il primo maxi processo, l’opera dei giudici Falcone e Borsellino, il tritolo di Capaci e via D’Amelio, le stragi nel Continente sulle quali si mosse un’attività d’indagine che portò un contributo importante per capire più a fondo l’azione criminale in atto e mettere in condizioni lo Stato di dare quella risposta che poi c’è stata.

Una stagione alla quale ha partecipato il procuratore di Pisa Alessandro Crini – all’epoca a Firenze, alla procura distrettuale antimafia - che si occupò della strage di via dei Georgofili. E quella stagione il procuratore Crini l’ha ricordata a palazzo Grifoni a San Miniato, partecipando all’incontro organizzato dall’Associazione Arco di Castruccio in collaborazione con la Fondazione Crsm per ricordare lo scrittore ed intellettuale Leonardo Sciascia a cent’anni dalla sua nascita.

Il presidente dell’Arco di Castruccio Marzio Gabbanini, il presidente della Fondazione Crsm Antonio Guicciardini Salini, il sindaco di San Miniato Simone Giglioli e il collega di Montopoli Giovanni Capecchi hanno introdotto l’incontro rimarcando l’importanza di “tenere sempre gli occhi aperti e di coltivare – sin dalla scuola – la cultura della legalità e del rispetto delle regole, in contrapposizione alla cultura della prevaricazione e della violenza tipica dell’agire mafioso”. 

In platea erano presenti anche i vertici locali delle forze delle ordine, insieme a molti cittadini. Il professor Luca Danti ha introdotto la figura di Leonardo Sciascia e quella cultura dell’antimafia che è stata un faro guida nella lotta alla piovra: “Sciascia si opponeva a quella mentalità che riteneva la mafia come parte integrante della cultura siciliana e che considerava la sua Regione non recuperabile la grande conquista di Sciascia è stata farci capire che non potevamo più far finta di nulla”. 

Quindi la parola al procuratore Crini, che in prima persona ha vissuto quegli anni fitti di indagini: “E’ stato un periodo che non posso dimenticare, perché ha segnato la mia vita professionale e personale. E’ importante continuare a parlare di quegli anni, anche per capire ciò che accade oggi. Quel 27 maggio 1993, data dell’attentato ai Georgofili, ci ha fatto conoscere un mondo che fino ad allora leggevamo nelle parole di Sciascia. Credo che alla fine abbiamo portato a casa risultati dignitosi, utili per comprendere la dimensione generale del fenomeno mafioso, che di per sé è molto lineare. E’ una storia semplice: il mafioso è banale, schematico, culturalmente inesistente; semplicemente è violento e persegue la prevaricazione” Crini ha poi ripercorso quei due decenni: dai primi omicidi negli anni Ottanta a Palermo di magistrati, politici ed esponenti delle forze dell’ordine, alla guerra di mafia fra palermitani e corleonesi; fino alla decisione da parte di Buscetta di collaborare e di far conoscere dall’interno una grande parte del sistema mafioso.

“Al termine del maxi processo – ha continuato Crini – per la prima volta Cosa Nostra veniva condannata come associazione. Totò Riina decise di dare un segnale nell’unico modo che conosceva, facendo uccidere Salvo Lima; poi riunisce i suoi uomini e vara l’uccisione di Giovanni Falcone. Le stragi non solo altro che l’espressione della diretta discesa in campo di Riina, utilizzando il suo linguaggio più caro: il tritolo”. Dalle parole di Crini, emerge anche un monito che sa di insegnamento: “Quando queste organizzazioni stanno in silenzio, vuol dire che per loro sta andando bene, che non c’è bisogno di ricorrere alla violenza. Quando uccidono significa che stanno attraversando un periodo di crisi”. Infine un invito a non abbassare la guarda: “L’attenzione non è mai troppa, non dimentichiamo che anche la nostra terra è un potenziale spazio di reimpiego e il potenziale criminale della mafia è enorme come la sua voracità nella raccolta dei frutti degli affari illeciti”.


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