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L'incidente Cromochim e il rischio dei reattori

Una recente indagine Arpat ha messo in relazione l'incidente alla Cromochim con quello avvenuto nel 1976 alla Icmesa di Seveso

"Fortunatamente - scrive Arpat - le conseguenze dei due eventi non sono paragonabili, ma in entrambi i casi l'incidente ha avuto origine dai processi realizzati all'interno di reattori batch, apparecchiature largamente diffuse nel settore dell'industria farmaceutica e dell'industria di processo in generale, in cui avvengono reazioni chimiche con produzione discontinua ".

L'incidente di Santa Croce derivò da un blocco del sistema di agitazione, dalla tubazione di sfiato del reattore per la produzione del cromobase. Si verificò un rilascio incontrollato di miscela reagente, contenente Cromo in forma esavalente e prodotti di reazione. 

La miscela presente all’interno del reattore è stata immessa in atmosfera, sotto forma diaerosol e vapori, con ricadute anche all'esterno del perimetro dello stabilimento.

Considerando l'avanzamento della reazione all’interno del reattore (20%), il quantitativo di bicromato di sodio rilasciato in atmosfera risulta stimabile in 160 kg.

Dopo l'incidente sono state previste misure correttive che – in condizioni analoghe a quelle verificatesi a novembre scorso – permetteranno il blocco dell'intero processo di reazione, con fermata e messa in sicurezza di tutto l'impianto.

Per Arpat lo studio degli incidenti rilevanti dovrebbe servire come stimolo ai gestori degli stabilimenti in cui sono presenti “reattori batch”, per approfondire adeguatamente le Analisi di Rischio con particolare attenzione all'affidabilità dei sistemi di sicurezza automatici.