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martedì 19 marzo 2024

PAROLE MILONGUERE — il Blog di Maria Caruso

Maria Caruso

MARIA CARUSO - “Una vita da vivere” è il primo libro che ha scritto dopo aver visto il primo cielo a San Felipe in Venezuela ed aver fatto il primo ocho atràs a Pisa. E' in Italia dal 1977 e per tre anni ha abitato in Sicilia. Le piace raccontarsi e raccontare con le parole che le passano per la testa ballando un tango in milonga. Su Facebook è Marina de Caro

​La prima milonga di Anita

di Maria Caruso - domenica 21 dicembre 2014 ore 13:01

Qualche anno mi fa mi sono iscritta a una scuola di Tango.

Tutte le volte io rimanevo estasiata e affascinata nel veder ballare le coppie in televisione e da qualche tempo era nei miei sogni imparare a muovermi come loro.

Solitamente prima di intraprendere un qualcosa di diverso, pensiamo alle reali opportunità, capacità e impegno richiesto dalla nuova attività ma ad ogni modo, superate i miei tentennamenti, decido di avventurarmi nell’impresa.

La mia amica Teresa mi suggerisce una scuola lì vicino a casa con dei maestri bravi, a parer suo, poiché lei era iscritta in quella sede e mi porta con sé nel giorno dedicato ai principianti.

Il corso era già cominciato da qualche settimana e sono accolta dai docenti con cordialità una volta compiute le formalità richieste dall’iscrizione provvisoria, poiché la prima lezione è gratuita, sono invitata a unirmi al resto del gruppo.

Non ho portato un ballerino maschio con me, per cui mi offrono di provare i passi con chi in quel momento non aveva la partner fissa.

La musica riempie la stanza e le note del tango mi entrano nelle vene a una a una assorbendo tutta la mia concentrazione tant’è che mi ritrovo alla fine della lezione senza sapere in realtà cosa avessi fatto e con chi.

Torno a casa con la testa tra le nuvole ma decisa a non mollare nel continuare il mio percorso e in trepidante attesa aspetto la settimana successiva.

Passano i giorni ed è già un mese che proviamo: un dos tre… beh la musica la sento, i piedi si muovono, anche se non so dove vanno.

Durante le lezioni ci imbottiscono di nozioni da portare dietro come lo zaino a scuola ma ho l’impressione di avere tanti libri e di non saper ancora leggere, perciò mi limito al momento a guardare le figure.

Poi arriva il momento in cui devi comprare l’equipaggio del tango ossia scarpe e vestito per essere pronti al debutto.

Compro un paio di scarpe da poco, caso mai decidessi di non frequentare più la scuola e vestiti che posso ad ogni modo utilizzare negli ambienti abituali per non compromettermi e legarmi al tango come fosse una forma di difesa da una malattia, ma forse inconsciamente sapevo già la fine che avrei fatto: dipendenza da tango.

I maestri ci spingono ad andare a ballare nelle “Milongue” e nonostante i miei timori organizziamo insieme ai colleghi principianti di cimentarci nell’impresa.

Mi preparo come se fosse il primo appuntamento d’amore adolescenziale truccandomi con cura, vestendomi con una gonnellina nera e un top rigorosamente nero e le calze tagliate naturalmente dello stesso colore, per lasciare i piedi scoperti e, portandomi dietro le scarpe nere e rosse con il tacco alto, nel sacchettino apposito dispongo lo spirito al grande evento.

Emozione allo stato puro, entrando nel locale dove la musica appaiava le note di Carneval de mi Barrio; cerchiamo il tavolo prenotato e trovandolo ci mettiamo a sedere, le mani tremanti cercano le scarpe nella custodia e il rituale prende forma: togli le tue scarpe e infili come cenerentola i sandali di cristallo.

Non riesco a far combaciare la fibbia con il laccio sottile di cuoio e mi perdo una “Tanda”:

“Mal di poco” pensa la mia mente quasi pentita di essersi trovata lì a combattere con l’emozione.

La sala era stracolma di tangheri e come per magia mi trovo davanti ad un cavaliere che m’invita a ballare; mi alzo e mi accompagna a bordo pista e nello stesso tempo riesco a vedere suoi pantaloni gessati neri, la camicia bianca e le bretelle nere, le scarpe bicolori e pur non essendo bellissima nel suo fisico fin troppo magro ai miei occhi la sua figura risulta bella.

Avevo appreso dalle poche lezioni di tango compiute a camminare, di solito indietro e per l’appunto l’”Ocho atràs”, poi non riuscivo a ricordare altro.

L’abbraccio dell’uomo intenso e molto stretto “Stile Milonguero” mi rende incapace di respirare poiché i battiti del cuore correva lungo i binari della paura.

Mi sembrava di camminare sui carboni ardenti e mi rendo conto di non avere alcun equilibrio, ma sono lì e non posso scappare da quella morsa, tra le braccia di uno sconosciuto.

Oddio troppe cose da pensare, la testa, la posizione dei piedi, la proiezione della gamba, il pivot…: “ Ma che ci faccio qui” urla la mia testa.

Finita la serata, dove naturalmente non fui invitata da nessun altro, torno a casa come se avessi dedicato un giorno intero a fare i lavori forzati dei galeotti.

Non rimango soddisfatta di me e, in effetti, non avevo capito niente di quello che mi era successo né di ciò che avevo fatto.

Alla lezione successiva i maestri chiedono a noi allievi com’era andata l’esperienza ed io:

“Bene…!” “In realtà ho pomiciato tanto perché non ci ho capito niente”. Facendo ridere naturalmente tutti.

Sono tornata altre volte a ballare ma non avevo più rivisto il mio primo ballerino e ad ogni modo non credo mi avrebbe più invitato visto la figuraccia che avevo fatto.

Dopo tre anni circa un pomeriggio la mia amica Teresa mi propone di andare in una milonga particolare per noi poiché non era nella nostra zona ed entusiasta per la novità, organizziamo la spedizione.

Locale molto piccolo, carino con luci soffuse più del solito e novità della serata la “Tanda Rosa”.

Avevo già intravisto il mio primo ballerino che naturalmente non mi ha riconosciuto e intraprendente più che mai vista la mia acquisita esperienza, mi approccio nell’invito.

Magia del tango…

Altra musica per le mie orecchie.

Riesco a percepire il suo respiro e i suoi passi prima ancora che li muova realmente, poiché sono diventata “bravina”.

Lui con il solito abbraccio mozzafiato ed io con la mia solita emozione ma con un passo diverso rispondo docile ai suoi comandi.

Non ci stacchiamo mai nemmeno per respirare tra un tango e l’altro.

Alla fine della tanda lui mi dice:

“Accidenti!”. “Sei bravissima…”. “Ma non abbiamo mai ballato insieme?” “Me lo sarei ricordato di sicuro…”.

Dopo aver ripreso fiato e detto il mio nome, così come vuole la consuetudine, esordisco:

“Allora adesso te lo dico: sei stato il primo ballerino che mi ha fatto ballare il tango argentino ed io a quel tempo non ero riuscita a combinare niente ma come capita con il primo amore, non ti avevo dimenticato”.

Che bella rivincita…

Maria Caruso

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